L’architettura della comprensione di Lombardini22

Il rendering della riqualificazione dei Caselli Daziari a Milano

Milano, giornata invernale, cammino con le mani in tasca per combattere la morsa del freddo. Fra pochi minuti dovrò incontrare Franco Guidi, amministratore delegato della società di progettazione Lombardini22, e un po’ di agitazione comincia a pervadermi.

Insomma, stiamo parlando del terzo o quarto studio di progettazione architettonica più grande d’Italia.

Studio che annovera fra le sue fila 160 persone coinvolte nelle sue cinque diramazioni quali: L22, brand dedicato all’architettura e all’ingegneria; DEGW, brand dedicato alla progettazione di spazi di lavoro; Fud, brand dedicato al communication design; CAP DC dedicato ai Data Center ed Eclettico per i progetti di ospitalità. Superato il parco “Baden Powell”, arrivo davanti all’ingresso dello studio. Le mani, nonostante i tentativi di scongiurare il congelamento, sono divenute insensibili oramai. Mi faccio coraggio con un respiro profondo ed entro.

Il rendering della riqualificazione dei Caselli Daziari a Milano
Il rendering della riqualificazione dei Caselli Daziari a Milano

Lombardini22 è un enorme open space a tinte arancioni. I giovani architetti e ingegneri occupano le varie postazioni.

Una ragazza all’ingresso mi fa accomodare al piano di sopra, dove mi raggiunge Luisa, colei che ho contattato per organizzare l’incontro. La sua gentilezza risulta inusuale in un mondo affamato di velocità nel quale i rapporti vengono totalmente sacrificati a vantaggio del consumo. Le chiedo se vuole dare un’occhiata alle domande prima dell’arrivo di Franco, ma lei mi ringrazia declinando l’offerta. Pochi minuti dopo arriva Franco Guidi, economista laureato in Bocconi. Mi alzo per salutarlo e dopo il normale imbarazzo iniziale, comincio subito, senza esitazioni, a formulargli la prima domanda:

Ciao Franco, posso darti del tu?… – fa un cenno con la testa e sorride.

Lewis Mumford, architetto e sociologo statunitense, sostiene che l’assimilazione del passato e la creazione del futuro siano i due poli dello sviluppo. Uno dei vostri temi più ricorrenti è la valorizzazione dei giovani: l’età media di coloro che lavorano in Lombardini22 è di trentaquattro anni quindi, seguendo il pensiero di Mumford, vi preme la creazione del futuro. Ma come avviene l’assimilazione del passato? Chi si occupa della trasmissione dell’esperienza e della memoria progettuale?

Noi qui manteniamo una promessa, facciamo crescere i giovani. Troppo spesso utilizzati a progetto, non riescono a trovare un ambiente che dia continuità alla loro esigenza di emergere. Mi piace il paragone con “la cantera” del Barcellona. Formare i giovani è un dovere per noi, ma questo non vuole dire che siano lasciati a loro stessi, abbandonati nel vuoto della mancanza d’esperienza progettuale. Noi lavoriamo a squadre e ogni squadra ha una guida che chiamiamo senior. In Italia un architetto fino all’età di quaranta anni è considerato giovane. Noi, lavorando sulla realizzazione del futuro, puntiamo a formare in un ciclo continuo i nostri giovani fino alla maturità professionale, in maniera che anch’essi possano un giorno fare da guida a ulteriori giovani che arriveranno.

Mi puoi parlare del metodo ‘design thinking’ e più precisamente del rapporto che si viene a creare fra cliente e progettista?

Il progetto in architettura non è mai una linea retta, ma è a forma di nuvola. Gli architetti vanno avanti e poi tornano indietro sui loro passi per trovare soluzioni migliori, diciamo che la progettazione architettonica è un processo creativo aperto fino a quando è possibile. Il metodo ‘design thinking’ non fa altro che coinvolgere nella progettazione tutti coloro che partecipano direttamente e indirettamente alla fase realizzativa e poi gestionale. Oltre agli architetti ci sono gli ingegneri, i tecnici, tutti i collaboratori e soprattutto il cliente, che viene coinvolto per ascoltare i suoi desideri e definire con esattezza il brief di progetto. Ciò che si va a progettare è un sistema, e come tale ha bisogno del contributo di tutti. Il cliente partecipa con proposte e soluzioni alla realizzazione del lavoro. Mi piace utilizzare la metafora della testolina dei bambini: non si può chiudere la testa di un neonato prima del tempo poiché essa non si è ancora sviluppata e non ha assimilato le nozioni necessarie per crescere. Alla stessa stregua avviene nel ‘design thinking’, che è un processo e atteggiamento morbido, aperto: si dialoga, ci si ascolta e si cercano le soluzioni insieme, e ogni idea viene presa in considerazione come opportunità. Si rimane morbidi fino alla fine senza creare vincoli rigidi.

lo studio Lombardini22
ll progetto Relooking, di Unicoop Firenze.

Come siete riusciti nel progetto “Relooking”, di Unicoop Firenze, a trasformare lo spazio di un centro commerciale, ovvero ciò che gli antropologi definiscono il non-luogo per eccellenza, nel suo opposto, uno spazio personale come quello da voi stessi definito sulla rivista “Ocio”, lo spazio di casa?

Per il progetto avviato con Unicoop Firenze di restyling di numerosi Centri bisogna addentrarci nella toscanità. Il committente è un’impresa sociale, molto solida (1 su 3 persone in Toscana è socio) con un modello di sviluppo chiaro e valori definiti. Il loro è un network di Centri, dall’identità chiara e convergente, e non un aggregato di Centri diversi. Quindi, non abbiamo fatto altro che lavorare su ciò che c’era già, amplificando quel carattere confortevole e i valori che contraddistinguono le Coop in Toscana. Abbiamo ascoltato i vertici Coop e abbiamo puntato sulla leggerezza, portando alla luce ciò che era già presente nel sottofondo. Anche a livello di progettazione abbiamo fatto nostro il dovere morale della restituzione di valori, temi, servizi, cultura che caratterizza l’identità di Unicoop Firenze.

Ocio. la rivista dello studio Lombardini22

Parliamo di architettura di qualità. Cito testualmente dalla vostra rivista “Ocio”: un progetto trasforma la realtà, ma più di tutto deve essere uno strumento di consapevolezza che permette di migliorare la conoscenza di un territorio, di un paesaggio e dei suoi abitanti. Ma andiamo oltre: l’ultimo stadio, possiamo definirlo utopico, dell’architettura di qualità, o architettura organica, è la scomparsa dei muri divisori fra l’intimo e l’estraneo, fra il conscio e l’inconscio, fra l’ambiente esterno e l’interno. Quando abbiamo affrontato e assimilato l’ambiente esterno esso non è più esterno. Sei d’accordo con questa definizione utopica e se non sei d’accordo mi puoi parlare della tua visione di architettura di qualità?

Non sono convinto della definizione utopica concernente l’eliminazione delle barriere fra il dentro e il fuori, l’interno e l’esterno, il conscio e l’inconscio. Direi piuttosto che la mia visione di spazio comprende un dialogo continuo fra il dentro e il fuori, un rapporto sinergico. Sono ancora legato alla definizione archetipa di grotta e di nido per quel che concerne lo spazio abitativo umano. Una sorta di protezione dai pericoli esterni. L’importante è avere più tipologie di spazi. Del resto non possiamo sottovalutare il fatto che l’uomo è in relazione preconscia con l’ambiente in cui vive e riscoprire quelle relazioni, portare alla luce quelle sensazioni, che fanno in modo che lo spazio non sia subito passivamente ma vissuto in maniera attiva con i sensi e con il movimento del corpo, è l’obbiettivo della progettazione. L’architettura per Harry Mallgrave – uno degli ispiratori del nostro format di ricerca Empatia degli Spazi – va attraversata, è un’esperienza del corpo e dei sensi, non un’astrazione concettuale. La mia architettura ideale è un’architettura di comprensione che genera sensazioni molteplici. Gli architetti devono progettare spazi che mettano le persone a loro agio, spazi abitabili e non di passaggio. In ultima analisi penso che l’architettura non debba destabilizzare.

Per descrivere il progetto “Holcom” di Beirut, arrivato in finale ai MIPIM awards di Cannes del 2016, avete usato la terminologia “architettura di nuova generazione”: in cosa consiste?

Il progetto Holcom unisce due brand di Lombardini22: L22 per la progettazione architettonica e DEGW per lo space planning e l’interior design. La prima cosa da comprendere di questo progetto è l’ambientazione. Beirut è una città ricca di sollecitazioni, di cultura, di vita. È la porta con il Medio Oriente, così abbiamo pensato, e qui cerco di rispondere alla domanda sull’architettura di nuova generazione, di realizzare una progettazione parametrica, creando un involucro esterno con pannelli di vetro e di metallo, protettiva sia per quel che concerne i raggi del sole, ottimizzando l’ombreggiatura, sia per i possibili eventi imprevedibili che fanno parte di una città come Beirut. Per opposto l’interno, da cui siamo partiti, tende ad aprire, a creare vortici di luce che elevino la personalità verso l’alto, verso il cielo.

lombardini22
Il progetto Holcom a Beirut

Cos’è, e quanto influisce all’oggi nella progettazione di L22, la neuroscienza, o empatia dello spazio?

La neuroscienza per ora è un tema di ricerca che ci aiuta a capire l’importanza del corpo. Ci stiamo documentando con l’apporto di studiosi, come il già citato Mallgrave, Sarah Robinson e Juhani Pallasmaa e fra gli italiani Davide Ruzzon e Alessandro Gattara. Vogliamo capire come creare uno spazio empatico in grado di generare emozioni.Per ora è solo un’ipotesi ma stiamo lavorando per capire se la neuroscienza ci può aiutare a sintonizzare l’architettura con i bisogni delle persone.

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