Alessandro Borghi: intervista all’attore rompiscatole

alessandro borghi sarà protagonista della serie Suburra prodotta da Netflix

L’attore di Suburra è sul set della prima serie – prodotta da Netflix – tratta dall’acclamato film diretto da Stefano Sollima

“Sto bene, ho un po’ di ansietta per il film perché è la prima volta che facciamo un’azione così tanto indipendente dall’inizio alla fine e quindi dobbiamo vedere come va, però va bene”.

Alessandro Borghi e Luca Marinelli sul set di Non Essere Cattivo
Alessandro Borghi e Luca Marinelli sul set di Non Essere Cattivo

Raggiungiamo Alessandro Borghi al telefono, è sul set della serie tratta dal lungometraggio Suburra di Stefano Sollima, prodotta da Netflix. Ed è proprio il personaggio che interpreta lì – Numero 8 – insieme poi a all’esperienza profondissima di Non essere cattivo di Claudio Caligari, che ha permesso al trentenne Borghi di dimostrare con grandissimo impatto che bravo attore è. L’”ansietta” che dice di avere è per “Il Più Grande Sogno” il bel film di Michele Vannucci sulla storia di Mirko, un “bandito” che, una volta uscito dal carcere e aiutato dal suo migliore amico Boccione, vuol trasformare l’indifferenza della sua zona in solidarietà. Eletto Presidente del comitato di quartiere, decide di sognare un’esistenza diversa. È la storia di un sogno fragile e irrazionale, capace di regalare un futuro a chi non credeva di meritarsi neanche un presente.

La mia ansia la trasformo in curiosità

Sei un ragazzo ansioso?

No, ansia è già di per sé una parola sbagliata che ho usato io. In realtà io non ho quasi mai l’ansia, si trasforma sempre in curiosità, la curiosità di vedere le reazioni delle persone. Quello che ogni tanto si innesca in me è un po’ il fastidio di sapere che un progetto come il nostro, portato avanti con così tanto cuore non riesca ad avere una distribuzione dopo che è stato anche presentato al Festival di Venezia. Non riesco proprio a farmene una ragione, ma non soltanto per il nostro film, anche per altri progetti, insomma è un meccanismo, quello della distribuzione, che ancora non mi è troppo chiaro. Però come tutte le cose che si fanno col cuore e da soli, se poi c’è un risultato, quel risultato vale doppio.  Speravamo di avere l’appoggio di qualcuno che poi non c’è stato e quindi ce lo distribuiamo da soli, siamo usciti a Roma e si spera che ci sia poi un buon riscontro. Mi piacerebbe ripercorrere, in parte, il viaggio che si è compiuto con “Non essere cattivo”.

Che poi quello che è accaduto con “Non essere cattivo“ credo vi abbia anche provocato il godimento di dire: “Ah ve ne siete accorti tutti che questo film è una figata”.

Si certo sicuramente, dall’altro lato c’è da dire che in quel caso noi avevamo la fortuna, ma allo stesso tempo la sfortuna che c’è stata negli anni precedenti, di avere il nuovo film di Claudio Caligari che tutti aspettavano. E poi anche perché c’era coinvolto Valerio Mastandrea che comunque ha un certo appeal sul pubblico essendo tanti anni che fa questo mestiere. Purtroppo con le opere prime questo meccanismo fa un po’ più fatica a mettersi in moto.

Tu quando hai capito che fare l’attore sarebbe stato davvero il tuo mestiere?

Questa è una domanda che mi sono fatto più volte e sono riuscito a trovare una risposta poco tempo fa. L’ho capito il giorno in cui Stefano Sollima mi ha scelto per fare Numero 8 in Suburra. Io facevo l’attore già da un po’ di tempo, dal 2006, principalmente per la tv. Nel momento in cui Stefano mi ha dato la possibilità di dimostrare il modo in cui avevo voglia e bisogno di fare questo mestiere ho semplicemente sfruttato al 100% l’occasione. E quello che è accaduto dopo, “Non essere cattivo”, il film di Michele Vannucci, adesso “Fortunata” di Castellitto, è servito piano piano a confermare a me stesso che ero diventato un attore. Non è uno status, quando vedi che riesci a farlo nella maniera in cui ti piace, andare sul set ed essere felice, quella per me è la mia percezione di essere attore.

Empatico. Questo secondo me è il miglior complimento che si possa fare a un attore. E tu lo sei. Ma che tipo di attore sei? Uno che propone tanto anche rispetto alle sensazioni che senti di quel personaggio oppure no?

Io sono un rompiscatole. Ma il mio essere rompiscatole è perché voglio essere sicuro che non stiamo mettendo in scena qualcosa che va contro natura. Però nello stesso modo in cui sono puntiglioso nel rivedere le scene e nel cercare la parola giusta, lo sono anche nel lasciarmi completamente dirigere. Mi viene in mente l’ultima esperienza che ho fatto che è stata quella preziosissima con Sergio Castellitto. Lui mi ha davvero trasportato in un film che era molto diverso da quelli che avevo fatto fino a quel momento e che in partenza avevo capito di meno. Quindi mi sono detto che n quel caso piuttosto che farmi una domanda in più dovevo assolutamente affidarmi a Sergio, che prima di essere un regista è un attore straordinario. il personaggio di Chicano in “Fortunata” è stato pazzesco, e me lo porto dietro in una maniera molto importante.

Cosa ci puoi dire di “Fortunata”?

“Fortunata” è un film che parla di una storia normale. Questo è quello che ho maturato pensandoci. Parla delle relazioni che si innescano tra dei personaggi che semplicemente vivono la loro vita con le loro problematiche. In particolare Chicano è un ragazzo bipolare migliore amico di Fortunata (Jasmine Trinca), una donna che è rimasta sola con una bambina e che ha alle spalle un matrimonio molto complicato. C’è anche Stefano Accorsi che fa uno psicologo e le relazioni tra tutti i personaggi che presi singolarmente sono persone che noi possiamo incontrare nella nostra vita generano una storia che vale la pena raccontare.

alessandro borghi sarà protagonista della serie Suburra prodotta da Netflix

Per fare l’attore avere ironia è fondamentale

Come è stato rincontrare Numero 8? Hai scoperto qualcosa in più di lui o l’hai ritrovato lì dove l’avevi lasciato?

Ho riaperto un cassettino e adesso stiamo cercando di arricchirlo perché abbiamo più tempo per raccontarlo. Se nel film abbiamo solo fatto vedere il cattivo qui possiamo anche andare a raccontarne il lato umano.

Quanto conta l’ironia nel tuo lavoro e nella tua vita?

Beh, è fondamentale, soprattuto per fare questo mestiere. Io non mi sono mai preso troppo sul serio, credo che si possa essere professionali pur essendo molto leggeri, questa è una cosa che mi hanno insegnato i miei genitori. Le poche volte che l’ho fatto, di prendermi troppo sul serio, ho avuto solo feedback negativi e improvvisamente è diventato tutto più serio e noioso!

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