Intervista all’architetto Vittorio Grassi

Nato nel 1968 Vittorio Grassi si laurea in architettura presso il Politecnico di Milano. Nel 1993 inizia la sua carriera professionale a Parigi, per poi trasferirsi a Londra, nel 1997 viene chiamato da Renzo Piano a Genova con il quale lavora per 9 anni come architetto associato collaborando su progetti a scala urbana e tipologie di edifici molto complessi. Nel 2005 fonda lo studio Vittorio Grassi Architetto and Partners a Milano, che vanta una sede anche a Parigi.

Vittorio Grassi photo di Serena Celada
Vittorio Grassi photo di Serena Celada

Questo numero di Urban ha come tema il verbo Traguardare; nel tuo lavoro dove se ne insidiano molti, come hai imparato a osservare attraverso gli ostacoli?

Essere architetto significa avere una visione a lungo termine. Saper vedere e immaginare cose che gli altri non riescono ancora a vedere. Per me questo tipo di visione ad ampio spettro temporale è fondamentale a qualsiasi scala di progetto, ma la considero tanto più importante quando si affrontano progetti a grande scala, grandi edifici complessi o addirittura pezzi di città.

Nel primo caso la sensibilità e l’attenzione si posano di volta in volta su aspetti diversi a seconda della tipologia dei miei progetti: la valorizzazione degli aspetti storici monumentali di un edificio come l’Antica Cà Litta a Milano, l’inserimento ambientale nel caso della una nuova cittadella residenziale per 700 famiglie dei militari alla Cecchignola a Roma o l’efficienza energetica di una struttura pubblica come il nuovo Palazzetto dello Sport di Lamezia Terme. Nel secondo caso, quando devo affrontare masterplan urbanistici complessi come quelli che stiamo realizzando a Samara, in Russia, o a Tunisi, allora tutti questi aspetti si presentano contemporaneamente in un sistema a più variabili apparentemente irrisolvibile. Ci sono moltissimi ostacoli, ma qui entrano in gioco l’esperienza dell’architetto e il buon senso. In questo caso l’unico metodo che conosco è “imparare ad ascoltare”: ascoltare i luoghi e le persone e cercare di ricomporre tutti i pezzi in un affresco dove l’architetto deve dare una risposta non solo alle esigenze attuali della comunità ma a quelle che verranno e che non tutti riescono ancora a percepire. Si tratta di un ruolo impegnativo e delicato perché influenzerà la vita futura di migliaia di persone. Nel mio mestiere è la sfida più bella ma è anche quella di maggior responsabilità.

Quale dei tuoi progetti, una volta terminato, ti ha dato la sensazione di aver vinto uno sfida o raggiunto un traguardo?

Il progetto per il Palazzetto dello Sport di Lamezia Terme, del 2010, è stato il nostro primo concorso di architettura pubblico vinto.  Interessante era il tema del concorso: un palazzetto dello sport polifunzionale da 5.000 posti a sedere e dedicato in particolare ad attività e manifestazioni per atleti disabili. Abbiamo proposto una struttura superleggera in cuscini di teflon in pressione, aerodinamica ed ecocompatibile, ideale per quel tipo di funzione. La forma e i colori ricordavano un sasso levigato dal mare. L’amministrazione locale ha raccolto la sfida e il nostro progetto, ora in fase di costruzione, è risultato vincitore.

Nel tuo lavoro qual è stato l’ostacolo a sorpresa più difficoltoso che hai dovuto affrontare?

Antica Città Litta MiIlano di Vittorio Grassi Architetto Partners
Il progetto dell’Antica Città Litta MiIlano di Vittorio Grassi Architetto Partners

La realizzazione di un progetto e la sua costruzione sono per definizione un percorso a ostacoli. Ci sono le forze della natura: la forza di gravità, le condizioni climatiche, i terremoti. Io stesso mi trovo a progettare in luoghi con condizioni climatiche veramente estreme. Per esempio, stiamo progettando un masterplan e un centro culturale in Siberia Orientale, a Yakutsk, con temperature che passano dai -45 C° in gennaio ai + 32 C° in luglio, in un terreno perennemente ghiacciato (il permafrost) nel quale bisogna costruire gli edifici su pali sollevati da terra e che lascino un cuscino d’aria fredda sotto l’edificio per evitare che il ghiaccio si sciolga, inghiottendolo. Poi ci sono ostacoli meno evidenti ma più subdoli: la burocrazia esasperata, le lungaggini amministrative, la politica. In particolare in Italia l’ostacolo più grande è far passare il concetto che il bene per la comunità è un bene anche per il singolo individuo. Purtroppo l’episodio del rinnovamento del Velodromo Vigorelli a Milano, che nel nostro progetto vincitore del concorso internazionale doveva trasformarsi in un’Arena multi eventi da utilizzare quotidianamente, è esemplare. Il progetto è stato bloccato ex-post da un vincolo monumentale sulla pista, richiesto da una minoranza di nostalgici, che di fatto ha ingessato l’impianto in una funzionalità anacronistica.Da sempre la nostra politica è miope e mancante di una visione a lungo termine e di senso civico.

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