The Fluid Issue – 1 persona, 8 Personaggi #6 Samuel Serafin a.k.a. Julius Peluso

The Fluid Issue – 1 persona, 8 Personaggi #6 Samuel Serafin a.k.a. Julius Peluso

La cugina di Julius Peluso gli disse che il suo falsetto le ricordava quello di Justin Bieber. Nelle J iniziali dei due nomi Julius vide un segno del destino.

Per anni ha chiuso la porta del bagno, acceso il ventilatore, aperto i rubinetti e cantato a squarciagola immaginandosi fragorose invasioni di palco. Per anni ha imitato le movenze di Justin, obbligandolo a replicarle ancora e ancora su Youtube. Quando si è sentito pronto, ha tentato un provino per X Factor. Andò male. Anche il secondo, e il terzo. Al quarto tentativo, dopo che Julius aveva riversato tutto il suo talento innamorato di vita in What do you mean?, la tizia che lo esaminava, mentre digitava chissà cosa sul cellulare, ha sbuffato: “Sembri un maiale quando capisce che stanno per sgozzarlo”.

Julius ha deciso che il mondo era un posto sbagliato e sordo. Ha deciso per una vendetta esemplare. Quando si svegliava eccitato non si ricordava il perché, ma quando si svegliava sudato il motivo era sempre lo stesso: aveva sognato di precipitare nel vuoto. I treni che sfrecciavano sui binari della stazione di Rogoredo gli facevano una paura fottuta. Non aveva il coraggio di buttarsi né da una finestra né sotto una locomotiva. E come scegliere il cocktail di sostanze da farti chiudere gli occhi prima che ti brucino le budella? In una odiosa grigliata della domenica, nel rigirare una braciola suo padre aveva detto: “Se mi dovessero giustiziare preferirei l’impiccagione all’inglese”.

Julius ha trovato la spiegazione su Wikipedia: “Lo standard drop prevede una corda più breve, di una misura dai 4 ai 6 piedi (ossia da 1,2 a 1,8 metri). Questo sistema, introdotto nel diciannovesimo secolo in tutto l’Impero britannico, è considerato un miglioramento dello short drop: causa la rottura del collo e l’immediata paralisi (e probabile perdita di coscienza) dell’impiccato”.

I suoi non scendevano quasi mai in taverna, che aveva i soffitti alti e un lampadario stile industriale, bello robusto. Julius ha provato a piazzare il tavolo da gioco sopra quello da biliardo, e ci è riuscito. Sarebbe bastato un saltino in avanti.  Ha comprato da Bricoman una corda da 149 centimetri. Ma come fare un cappio? Lui era un artista, mica un falegname o un altro di quelli là che usano le mani. Su Google, appena digitato “come fare un c”, il terzo suggerimento, sotto a “curriculum”, prima di “cappuccino”, era “cappio”. Fior fiore di professionisti, inspiegabilmente vivi, ti spiegavano come impiccarti. Nel tutorial indicizzato meglio, un decenne in felpa con cappuccio e stampa a teschio, diceva con voce pre-ormonale, corda tra le dita: “Per prima cosa distendetela così, e fate una serpentina…” Julius ha riguardato il video un paio di volte. I nodi gli venivano mosci e sbilenchi. Si vedeva morire lentamente con lingua e occhi di fuori. Quel ragazzino col teschio era chiaramente impreparato. Vari comenti lo confermavano. Uno, di Dark92, diceva: “Accontentati di spiegare come sopportare un giorno di pioggia”. Aveva 113 like.

Julius si è comprato un grande impermeabile scuro, ha aspettato che arrivasse una perturbazione dai Balcani, si è piazzato su una sedia del giardino, sotto la pioggia, col cellulare appoggiato contro la fioriera del tavolo, ha concentrato tutta la sua rabbia nella faccia.

Stava immobile. Le gocce precipitavano dall’orlo del cappuccio, lui ogni tanto tirava fuori la lingua. Lo sguardo puntato dentro alla pupilla degli spettatori, fino al centro del loro cervello, al nocciolo del dolore. Solo dopo trenta secondi, prima di stoppare la registrazione, ha fatto: “Anche i delfini hanno iniziato così. E guardateli adesso”. Non la sua performance migliore, lo sapeva, ma qualcosa avrà pur voluto dire. Caricò il video su Youtube, Instagram e Facebook.

In poche ore, era diventato virale. “Non siamo tutti delfini a metà?” chiedevano i post delle condivisioni. Dicevano: “Non respiriamo più l’aria ma non respiriamo ancora l’acqua. #sad #true”. Dicevano: “Genio! #giornidipioggia” o “Di che si è fatto questo coglione?”. Le ragazze gli scrivevano in privato: finalmente qualcuno le aveva capite, o offese (“il pesce come allusione al pisello è vecchia come mia nonna, e machista, sfigato!”). In fondo non poteva che andare così, si diceva Julius nel vedere i follower moltiplicarsi. Davvero la vita è come un film, si diceva, che sembra che non ce la fai poi invece ce la fai. Vogliamo altri video sotto la pioggia, con i delfini, gli scrivevano a centinaia.

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