La Gare Hotel a Milano: la cucina sensoriale di Chef Minutiello

La Gare Hotel

La zona dietro stazione Centrale, tra Gioia e Garibaldi per intenderci, non è che sia proprio segnalata nelle guide di Milano per qualche bellezza rilevante. Una ex zona operaia parzialmente rigenerata.

Ma in mezzo a uffici, viuzze sterrate e vecchi palazzi abbandonati, svetta iconico e immenso l’hotel LaGare, sito in via Giovan Battista Pirelli 20. Il La Gare Hotel sta cercando di sdoganare il preconcetto italiano dell’albergo-come-posto-dove-dormire-e-amen. In America, ad esempio, i migliori cocktail bar sono allestiti all’interno degli alberghi, così come è possibile usufruire del ristorante pur non avendo lasciato le chiavi alla reception, per intenderci.

La Gare Hotel

Urban è stato ospite del Bistrot LaGare e le parole sono piuttosto irrilevanti, quando si tratta di descrivere le acrobazie gustative che ci hanno fatto assaggiare.

Lo Chef, Matteo Minutiello, è un vero fenomeno. Paragonando la cucina al campo da calcio, Minutiello è un numero 10 d’altri tempi, uno di quelli che ha la giocata geniale sempre pronta. E la sua casa, il Bistrot LaGare, a questo punto diventa il maestoso San Siro della gastronomia.

Veniamo accolti da Stefania, responsabile di F&DE, che ci guida al settimo piano.

La sala è raccolta, dà un senso di accoglienza immediato. Le vetrate spaziano sulla Milano più urbana, e il soffitto rapisce gli occhi: allucinanti lampadari di Murano, dalla forma indefinibile, ti fanno passare l’attesa tra un piatto e l’altro. Ci sono quelle trattorie che tengono la televisione accesa, sintonizzata su qualche canale pop, ed è davvero triste. Qui al Bistrot LaGare si guardano i lampadari.

“Pare di essere dentro il film Frozen” dice Moreno, aggiungendo un “sì, avere dei figli cambia la prospettiva con cui guardi le cose”.

Nella rapida successione di vellutate ai piselli con aria al basilico, spaghetti al ragù di vitello, risotto alla paprika e altre invenzioni dello chef, Stefania ci racconta che c’è tutto uno studio enorme dietro i cocktail, i piatti, per legare l’Hotel e il Bistrot alle radici Milanesi.

“Ad esempio, al bar si serve un cocktail, la Sirena, che sostanzialmente richiama il vermouth di fine turno che gli operai della Pirelli bevevano prima di tornare nelle loro case. Quando insomma suonava la sirena!” ci fa Stefania. Noi ascoltiamo, sì, ma siamo persi negli spaghetti con quinoa e ragù di agnello. Dio Benedica i Registratori Vocali.

Strano trovarsi adesso, qui, con la schiena incollata ad una poltrona di pregio totale, mentre magari sessanta, settant’anni fa un operaio si endovenava di Vermouth rosso per compensare otto ore di fresa e tornio.

Il menu che ci propongono è devastante. Non si mangia a questi livelli da… nah, personalmente non ho mai mangiato a questi livelli. Quando servono l’anatra con Umeboshi e Shiso, c’è quasi il rischio di piangere tant’è saporita. Davvero: ogni boccone equivale ad un sorriso istantaneo.

Ed è quello che diciamo allo chef quando lo incontriamo. Matteo è giovane, classe ’82. Gli facciamo i complimenti, perché siamo stati totalmente coinvolti dall’esperienza ultrasensoriale.

“Ci vuole passione e controllo. Dai fornitori alla pulizia della piastra di cottura,” ci fa Matteo “poi è chiaro che ognuno deve seguire il suo ruolo, un po’ come una squadra di calcio”.

E in effetti la cucina è come lo sport, è meritocrazia. Se cucini male, la gente non ci viene al tuo ristorante. Se sei scarso, non vai in prima squadra.

La Gare Hotel

“Già,” fa Moreno parlando con Matteo “alla fine tre son gli ambiti di vera meritocrazia: sport, bordelli e cucina. Il resto è aria fritta”.

Frase epica annotata, si continua a parlare del menù. C’è un piatto che è particolarmente legato ai risvolti sociali di Milano: il minestrone.

“Perché,” fa Matteo “il piatto per eccellenza da schiscetta e via è il minestrone, che ai tempi veniva fatto bello unto, con la cotenna eccetra. Noi lo abbiamo alleggerito, reso gourmet, ma la storia è quella. Ogni cliente che lo ordina, devolve un euro al Pane Quotidiano, l’associazione”.

Che altro aggiungere?

Niente, ho già prenotato per settimana prossima. Chi si aggrega?

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