La luce alla fine del mare – puntata 2

Eccoci al secondo appuntamento della nostra saga sulla storia dell’incontro tra Tony detto Ballerino, e Angelo Pregoni di O’Driù. Il primo, senza casa né lavoro, emarginato diventato (anti)testimonial del profumo di Angelo.

Urban li ha seguiti per raccontare questo processo e questa è la puntata numero 2*

Clicca qui per leggere la puntata numero 1*

Risalgono i gradini, verso via Pepe. «Ma tu ce la fai a essere fedele?» dice Angelo. «Sempre» Ballerino solleva la testa. «Troppo». «Cioè?». «Sai come mi sono lasciato con mia moglie?». «No». «Vedi quello?» indica un furgone della DHL parcheggiato in via Pepe. «Lavoravo là, nel deposito. Ero quello che muoveva più carichi in una giornata. Dodici, tredici ore al giorno. Guadagnavo più di tutti. Forse è per quello che è successo». «Cosa?». «Eh, l’invidia», si porta le mani sulle tasche, come un cowboy pronto al duello. «In pausa pranzo un collega fa vedere la foto della sua ragazza. Era brutta, ma io gli ho detto che non era così male. Poi ho tirato fuori dal portafogli la foto di mia moglie, bella, vestita bene. Quello mi fa, questa la conosco, l’ho vista in corso Lodi. Non ci va in corso Lodi, dico io. Come no, ci batte, fa lui. Gli ho tirato un destro alla mascella, s’è rotta, lui è andato giù come un sacco. Mi hanno licenziato». «E tua moglie?». «Mi ha lasciato. Ha detto che per colpa mia non avremmo avuto più soldi».

Entrano nei giardinetti per bambini Via Pepe Verde. Vasi colorati, sacchi pieni di fiori, giostre. Giocano a calcetto. «Non sono bravo» dice Ballerino. Stringe attorno alle manopole le dita grosse, di chi ha lavorato per decenni. Parla fissando il centrocampo, segue la pallina solo con la coda dell’occhio. «Le donne sono un casino. Quanti problemi. In discoteca vogliono subito portarmi in macchina. Ma io prima devo conversare, farmi la doccia. Una sera conosco una signora, le chiedo se è sposata, lei dice di no. Vado da lei, mi lavo, faccio quello che devo fare. Me ne stavo nudo sul letto, sentiamo che entra qualcuno. È mio marito, grida quella. Il marito era un napoletano, attacca a dirle che era una troia, e per me aveva ragione. Io guardavo la scena con le mani tra la testa e il cuscino, i gomiti in fuori. Se a me non diceva niente, io non facevo niente. Ma quello mi dice pezzo di merda. Io niente. Quello mi scuote. Sta’ buono, dico. Lui continua. Allora mi alzo, pugni, spinte, io ero nudo, arriviamo fuori dalla porta, sul ballatoio. Cerca di colpirmi in faccia, gli rigiro il braccio dietro alla schiena e quello precipita giù dalla ringhiera del primo piano. Piagnucolava. Io non gli avrei fatto niente». «Non hai un ricordo bello?». «No, aspetta, senti questa» Ballerino fa segno di andare con calma. «Un’altra volta, sempre una donna in discoteca, che mi dice di essere libera, mi porta a casa sua. Bel condominio, tutto bianco, moderno. L’ascensore sale in un secondo. Solita doccia, solite cose. Anche questa sente la serratura e fa: mio marito, mio marito. Io raccolgo scarpe e vestiti e mi butto giù dal balcone. In ascensore ero entrato e uscito, credevo di essere al primo piano, invece ero al secondo. Le ginocchia mi hanno fatto così» si piega dietro al calcino fino a toccare col mento le rotule. «Come un pugno qui sotto. Sono svenuto. La mattina mi ha svegliato il giardiniere» forza una risata.

 

Si siedono su una panca, tra i passeggini. «Sì, ho capito» dice Angelo. «Ma un ricordo caro, bello, puro, non ce l’hai?». Sorride e dice: «Mi ci fai mettere una nota delicata, dolce, in ‘sto profumo?». «A dodici anni mi piaceva una ragazzina, era un fiore bianco. Un tipo con due anni più di me l’ha stuprata. L’ho aspettato fuori casa e gli ho spezzato le gambe con un cric. Sta ancora in sedia a rotelle».

 

Photo Credits: Diego Mayon

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