La luce alla fine del mare

 

Può succedere che da una vita di emarginazione, violenza e redenzione nasca un profumo? Può succedere che un clochard diventi un (anti)testimonial? Sì, se a incontrarsi sono Angelo Pregoni di O’Driù e Tony detto Ballerino, senza casa né lavoro. Urban li ha seguiti per raccontare questo processo. E questa è la puntata numero 1*

 

Angelo Orazio Pregoni, Fondatore della firma di profumi O’Driù, artista e performer, è prima di tutto un sintetico. No, non è grave, signifca che il suo cervello trasforma ogni percezione in odore.

Monomaniaco della narice, naso con attaccato un uomo di 47 anni, rivoluzionario armato di affiliatissimi chemiocettori, vive in un universo parallelo. Ha svuotato un Chanel N. 5, davanti al pubblico di Pitti Fragranze, riempiendo la bottiglia di un suo profumo e della propria urina: voilà “Pi_Scianel Profumo“; mentre i commensali del Conservatorium Hotel di Amsterdam mangiavano hamburger, patatine e altri emblemi del cibo di massa, ha racchiuso in tempo reale quelle suggestioni sensoriali in un fast pop perfume; in “né carne né pesce” ha aggiunto essenze lussuose ad alimenti in scatola per poi trattarli come eccellenze gastronomiche in una parodia dell’alta cucina. Questa volta traslocherà chi è finito a vivere in un angolo al centro del cosmo sensoriale. Ha incontrato Ballerino, senza casa e senza lavoro, per farne l’ispirazione di un nuovo profumo. Da emarginato a testimonial. La sublimazione di due anime tormentate, il profumo del diverso, il lusso dell’imperfezione.

Angelo e Antonino, uno in nero l’altro in bianco, camminano sul ponte di via Farini. Sulla sinistra, il cimitero monumentale. Antonino, senza alzare la testa, gli dà un’occhiata di sbieco. Dice: «Mi sentivo Dio. Mi aveva provocato, l’avevo steso, gli tenevo una suola sulla gola. Se spingevo un po’ di più, quello l’ammazzavo. Ti prego, faceva lui, così, tutto strozzato, non uccidermi. Era in mio potere. Lasciargli la vita o prendermela». Antonino, tranese del 1959, si fa chiamare Ballerino.

Ph: Diego Mayon

«Io invece ho imparato a controllarmi» dice Angelo. Al collo, un ciondolo di Ogma, dio celtico della forza e della guerra. «Pure io»  fa Antonino. «Dal 1983. Ero all’idroscalo, mi circondano le macchine di polizia e carabinieri. Si vede che mi avevano scambiato per un altro. Volevano crivellarmi. Sono scappato tra gli alberi, loro sparavano ma non mi colpivano. Come se c’avessi un mantello magico. Mi sono buttato nell’acqua, dietro ai cespugli. Non mi vedevano. È stato lì, sott’acqua, che è arrivata la luce di Gesù. Ho capito che dentro sono buono, è fuori che sono violento. Ho cominciato a fare del bene agli altri, bei regali, gioielli». Si rigira gli anelli attorno alle dita. «Ecco perché sono in questa situazione».

Ph: Diego Mayon
Ph: Diego Mayon

Si guarda il crocifisso di metallo che gli pende sul petto. «Ma non voglio mica andare all’inferno» scoppia a ridere. «Io morirò nel 2023» dice Angelo. «Perché?» Ballerino sgrana gli occhi azzurri, pupille piccolissime, come preparandosi all’azione. «Non so» sorride Angelo, «ne sono convinto e basta». «Io prego tanto, chiedo favori a Dio. Non capisco perché questa neuropatia degenerativa non se ne va» si palpa le cosce. «Sono dimagrito venti chili. Così faccio fatica a ritrovare un lavoro. La malattia mi sta distruggendo anche mentalmente, il cervello mi è andato in fumo, le gambe non mi reggono».«Mi spiace» dice Angelo sottovoce. «Eh, vabbe’» fa allora con tono più alto Ballerino. «Solo un’altra volta mi ero sentito così. Con mio fratello, appena trasferiti al nord, andavamo a pescare i ricci a Genova. Li aprivamo, una spruzzata di limone, mille lire l’uno qui per le strade di Milano. Questi qui facevano certe facce. Non ce li avevano i ricci per strada. Che buoni, facevano». «Non mi sembra tu avessi perso le forze». «No, aspetta» Ballerino sfiora il petto di Angelo. «Una volta, di notte, stavo nuotando, nuotavo da ore e i nervi erano sciolti, a un certo punto sento una gamba bloccata, mi tiravano giù. Era un polipo. Fanno così, i polipi. Si aggrappano con un tentacolo a uno scoglio e con un altro cercano di tirarti sotto, perché hanno paura».

 

Si siedono su un materasso buttato sotto la banchina dell’ultimo binario di Porta Garibaldi. «Però l’altra sera, all’Arizona 2000 di via Battaglia, per un quarto d’ora sono stato ancora Ballerino» si accende una John Player Special rossa. «Tango?». «Liscio» espira il fumo. «Ma io ti ballo tutto. Dammi la musica e io te la ballo. Facevo anche le spaccate in volo, ho studiato kung-fu. L’altra sera sono stato protagonista, come una volta. Mi guardavano tutti. Sono un allievo di Don Lurio, adesso sono tutti finocchietti. La musica devi sentirla qua dentro, nei muscoli». «Io sono sinestetico» dice Angelo. «Cioè, io la musica la vedo». Ballerino lo fissa, assottiglia gli occhi. «Ma ci vai in discoteca?». «Non molto». «A me la discoteca mi piace perché ci vai da solo. Nei posti dove vai a coppie se la donna non è brava fai brutta figura pure tu. In quel caso preferisco cantare, che la gola è mia». «Cosa canti?». «Nato sotto il segno dei pesci di Venditti, Piccolo fiore dei Teppisti dei sogni. Quando avevo i capelli lunghi mi scambiavano per Toto Cutugno. Adesso che ce li ho corti per Ignazio La Russa» spegne la sigarette sotto la suola. «Ho avuto centinaia di donne».

 

…TO BE CONTINUED

Ph: Diego Mayon

 

 

 

 

IL PROFUMO DI TONY DI ANGELO PREGONI

Come l’amaro dell’assenzio, un mondo pieno di memoria, dentro ogni tempo che è stato, tende a riverberare le pene e la propria fierezza all’infinito, senza la possibilità di un linguaggio di nuove azioni, di originali emozioni, perché tutto è declinabile solo attraverso vocaboli personali e comportamenti stereotipati: «Io sono un duro», io sono la radice, le note fecali e istintive della mia genetica mascolinità, «io sono un uomo».Così andarono morendo quei sogni azzurri di Tony; i giorni e con i giorni gli anni, sostituirono qualcosa di simile alla felicità a l’erbaceo orgoglio dell’essere «tutti di un pezzo». E questo accadde una mattina, ad appena dodici anni quando un cric ruppe le gambe di un quattordicenne, costringendolo sulla sedia a rotelle per il resto della vita. Nell’epica, e tra la ruggine del racconto, voglio immaginare che quel giorno piovve vaniglia con lentezza, mentre Tony stringeva il cric tentando di colmare quella rabbia vendicativa nei confronti dell’altro, reo di aver stuprato la sua fidanzatina, di aver reciso un bellissimo fiore bianco. Tony si saziò di quell’ebbrezza dolce come un pandoro, senza percepire l’odore del male, saziando le sue narici solo di nobili note di «pulizia»: Tony era un imperativo e implacabile Sapone di Marsiglia che puliva una macchia sul bianco immacolato. Storie da adulti, storie che gli adulti ignoravano. Piovve salsedine con lentezza, e mare blu come non mai sul viso di Tony, tra attacchi di squali e piovre da cui difendersi e sirene dalle quali non lasciarsi sedurre. Tra bande, giochi di forza e potere, violenza e fedeltà, voglia di vivere e paura di farlo, Tony naufragò per sempre nell’azzurro dei suoi occhi.

 

Photo Credits: Diego Mayon

 

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