Il viaggio artistico di Mannarino in un’ intervista colorata dalla libertà

Mannarino
Mannarino ph. Magliocchetti

Un sold out dopo l’altro con più di 60mila biglietti già venduti per il suo #ApritiCieloTour, ma com’è arrivato fin qui Alessandro Mannarino uno dei cantautori più importanti del panorama musicale italiano?

Mentre lo attendiamo al  Flowers Festival di Collegno, abbiamo scavato nella sua carriera cercando di ripercorrere il viaggio che lo ha portato fino al suo ultimo disco: Apriti Cielo, un album colorato che celebra la filosofia della vita.

Dal tuo esordio nel 2009 a oggi è passato molto tempo, ci sono stati dei punti cardini che ti hanno stimolato e non ti hanno fatto abbandonare la tua strada a livello artistico?

Ogni disco è stata una ricerca per costruire qualcosa di diverso mettendo in discussione i lavori precedenti ogni volta. Dopo il primo album ho cercato di prendere una strada dove far vivere attraverso le storie dei suoi personaggi il mio pensiero, ma sopratutto comunicare le mie idee con la narrazione.
Ad esempio nel Bar della Rabbia raccontavo la ribellione alla società vista dall’interno di un bar, dove io mi trovavo insieme a vari personaggi: un pagliaccio, una prostituta o un ubriacone, mentre, nel disco successivo ho messo la ribellione nelle mani di due donne come Maddalena e Marylou creando qualcosa di più ambizioso, più forte.

In Al Monte, mio terzo album, ho cercato una via di fuga dalla struttura della società, dalle città e si chiudeva con l’immagine di quest’uomo e questa donna su di un monte insieme alla domanda: qual’è la vera identità umana?

Ecco quest’ultimo disco parte dall’idea d’immaginare quello che c’è aldilà di quel monte, quindi un viaggio alla ricerca della felicità, sembra banale ma nel disco c’è proprio questo, la ricerca dei colori. La filosofia nel festeggiare la vita. Viviamo in un periodo dove si sono perse le speranze, ad esempio la mia città è allo sbando, però il messaggio nascosto in tutti i pezzi ti dice: la vita è bella e la si può festeggiare. Perché facendo le cose belle trovi l’energia per cambiare anche le cose negative.

Com’è nato il disco?

Il mio disco precedente era abbastanza cupo e volutamente scuro, era una fuga dalla città dove bisognava affrontare tutti i mostri, uno dei quali era la divisa militare del brano Malamor. Invece in questo album c’era l’idea di un principio
di bellezza, di colori, in contrapposizione con la cupezza del precedente. Apriti Cielo è un album colorato da strumenti provenienti da tutto il mondo per esempio Gandhi ha delle sonorità molto particolari dove ho unito il blues originario del Mississippi con delle musicalità indiane.

Il concepimento dei pezzi è nato in studio di registrazione o avevi delle bozze in testa che poi hai ri-registrato?

In questo disco ho lavorato insieme a Tony Canto, con cui avevo già dei trascorsi, infatti una volta trovata la sinergia giusta abbiamo sviluppato il progetto insieme. Molte delle idee però sono arrivate spontanee in sala d’incisione.

Come l’hai presa quando Michael H. Brauer (8 Grammy Awards, collaborazioni con Coldplay, Bob Dylan, John Mayer, Calle 13 e tantissimi altri) ti ha detto di voler prender parte al progetto?

Benissimo! Siamo stati in contatto ogni giorno, via Skype e via mail, mentre registravo in Sicilia mandavo i pezzi a New York in diretta, poi tempo sera tornavano indietro. La collaborazione è partita tutta da lui, inizialmente doveva lavorare su tre/quattro brani ma poi ha deciso di voler fare tutto il disco per portarlo fino al master. Era entusiasta del progetto tanto che poi ha passato il mastering a Joe LaPorta che ha curato anche l’ultimo disco di David Bowie. Hanno fatto un lavoro strepitoso. Proprio l’altro giorno l’ho rimesso su dopo un po’ che non lo ascoltavo perché dovevo andare a sentire degli arrangiamenti e mi sono detto: “AMMAZZA PERÒ COME SUONA”. Anche se ho già in atto l’opera di demolizione, dove penso che l’album è tremendo, dove ho sbagliato tutto anche nella vita (ride). Ma questo è anche l’animo dell’artista, è il pessimismo creativo che ci manda avanti.

Se questo disco è un viaggio dove dovrebbe essere ascoltato?

Il disco dev’essere ascoltato più che in una parte nel mondo, da una persona giusta, nel suo momento giusto, nel suo luogo giusto. Dev’essere ascoltato da chi lo cerca e magari lo trova. Noi siamo in continua ricerca. Pensa una volta mi fermai a parlare con un pescatore in Sud America chiedendo se conoscesse dei posti dove poter ascoltare della musica, la loro musica. Lui mi rispose: «Ah, sì la musica è bella, fa bene all’anima». Questa risposta m’invogliò a continuare la mia ricerca.

C’é differenza tra l’ascoltare un brano eseguito live rispetto a quello suonato nel disco?

Assolutamente sì! Sono due cose diverse, il disco per me è creatività pura. Invece nel live c’è il rapporto con le persone che negli anni è diventato molto importante.
Nel live non c’è solo la dimensione della performance anzi forse non c’è proprio, non riesco a stare sul palco a far vedere quello che so fare o quanto sono bravo perché lì arriva la voglia di fare qualcosa insieme al pubblico, ossia di partecipare attivamente con loro in qualcosa. Questa empatia trasforma la performance in un incontro col pubblico e non più una esibizione. A volte mi piacerebbe esprimermi di più nell’esecuzione delle canzoni però il pubblico canta più forte di me quindi…

Un’analogia tra questo disco e la tua arte dello storytelling con uno scrittore o con un’altra forma d’arte?

Nella mia arte ci sono tante influenze, da quello che leggo ai film che vedo. Dagli scrittori della fantascienza come George Orwell o Ray Bradbury a tutt’altro, infatti nella mia scrittura ci sono galassie, astronavi e descrizioni simili. Tutti i miei personaggi, tutte le mie storie, tutti i mondi che ho inventato, parlano sempre parlano sempre di me e di quello che vivo ogni giorno. Non potrei fare a meno di riflettere i tempi in cui vivo. L’arte è anche uno spazio di libertà dell’essere umano perché t’immagini un mondo senza cantanti, scrittori, ballerini? Sarebbe un mondo più controllato, invece l’arte è uno strumento di libertà e questo comprende anche lo scontro del potere.

Un pezzo del disco che ti piace particolarmente?

Arca di Noè. Questo brano live funziona alla grande anche più del disco e non l’avrei mai detto. Purtroppo riproporla dal vivo non è facile proprio per via di tutti gli strumenti che ci sono all’interno della composizione.

Un analogia tra questo disco e la tua arte dello storytelling con uno scrittore o con un altra forma d’arte?

Ma guarda nella mia arte  ci sono tante influenze da quello che leggo ai film che vedo. Dagli scrittori della fantascienza come George Orwell o Ray Bradbury a tutt’altro infatti nella mia scrittura ci sono ci sono galassie, astronavi e  descrizioni simili. Tutti i miei personaggi, tutte le mie storie, tutti i mondi che ho inventato, parlano sempre di me e di quello che vivo ogni giorno. Non potrei fare a meno di questo, non potrei fare a meno di riflettere i tempi in cui vivo. L’arte è anche uno spazio di libertà dell’essere umano perché immagina un mondo senza cantanti, scrittori, ballerini?? sarebbe un mondo più controllato, invece l’arte in qualsiasi forma è uno strumento di libertà ed questo comprende anche lo scontro del potere.

Ma in queste date estive cosa dobbiamo aspettarci di diverso?
Uno spettacolo leggermente più corto di quello invernale, dura quasi tre ore però è più concentrato. Metteremo più pezzi che possono affrontare il periodo estivo togliendo qualche lento. Ovviamente cambierà la scenografia.

Qualche ospite a sorpresa? Tipo un Enzo Avitabile sul palco con te??

EH! perché no, magari! se passa per Napoli. Alla fine d’estate siamo tutti in tour quindi forse potremmo farcela ad incontrarci. Lui poi è veramente forte e mi ha fatto questo bellissimo regalo sul pezzo VIVO con il suo assolo veramente significativo. Noi avevamo già collaborato insieme sul suo disco con San Ghetto Martire e ci siamo sempre proposti di fare nuove cose insieme quindi suonare sul palco con lui sarebbe bellissimo.

Com’è nato il video Apriti Cielo?

Io e mio fratello, che lo ha girato, ci siamo immaginati delle situazioni molto precise. Perché nel pezzo io parlo sia di chi scappa dall’Africa per salvarsi la vita e venire da noi, sia di chi scappa via dall’Europa per un altro tipo d’esperienza, perché magari non si riconosce in questa società o nel modello capitalista. Quindi nella stessa canzone con le stesse parole parlo di due tipi di fuga e nel video volevamo proprio che si percepisse questo controllo per poi voler scappare e per poi voler scappare e sentirsi liberi. Mi sono sempre rifiutato di descrivere questa canzone come un brano che parla di emigrati o solo di quelli, perché il brano parla di tutti.

Alla fine quand’è che ti sei innamorato per la prima volta dalla musica?
Fin da quando sono piccolo ho avuto questa passione ma prima c’è stata l’architettura. Alle elementari grazie alla maestra scrivevo già poesie e pensa che mia madre le ha conservate tutte! Poi a quindici anni ho scoperto la chitarra e ho subito provato un’emozione forte, perché le parole con la musica creavano qualcosa di molto di più. Quindi ho capito che avevo uno strumento per far vivere quelle parole e da qui è iniziata la malattia per la musica. Per qualche anno suonai in camera mia, poi decisi di esibirmi in pubblico ma quando andavo a suonare mi vergognavo e non lo dicevo in giro, ho combattuto questa cosa e ho vinto!
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