Mercato Centrale Roma

Che poi uno dei miei film preferiti di sempre è l’Abbuffata, e ritrovarsi all’apertura del Mercato Centrale è un po’ chiedere venia a sedute e sedute di psicologi che mi dicevano: il senso della misura Moreno, devi trovare il senso della misura. 

mercato centrale roma

 

 

Sono qui al Mercato Centrale in via Giolitti 36 a Roma, la via che costeggia il lato destro della stazione Termini e ci saranno un centinaio di persone, 15 banchi solo al piano terra, a ogni banco una specialità: di terra, di mare, formaggi, dolci, carni, caffè e io posso prendere ciò che voglio. Il senso della misura, insomma, qui potrebbe tranquillamente andare a farsi fottere. 

Io vorrei mangiare qualsiasi fetta di pane di grando duro esposto ma mi limito (mi limito?) ad assaggiare gli hamburger chianini, i supplì con la gricia e il miele, la pizzetta fritta, un vino friulano, una tartarre di carne di manzo tagliata al coltello con sedano e cipolla e forse lime ché levati, una polpetta vegana e una margherita a 8 euro, prezzo per il quale il presidente Umberto Montano s’infervora: “È il minimo ma anche il massimo, di più la pizza non dovrebbe mai costare. Qui chi vuole la pizza a 5 euro non ci interessa”.

Qui c’è la scelta di materie prime, ci sono tre tipi di farine nello stesso impasto, non viene usato olio (né vegetale né animale), la qualità è la prima e ultima cosa, forse l’unica che conta. “No” dice Montano. “Ci interessa anche la libertà dei nostri clienti, che possono prendere da mangiare ovunque e andare ovunque, tra sopra e sotto abbiamo più di 500 posti a sedere”. 

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Non fatevi ingannare però. La discriminante del prezzo, quando si parla di qualità, c’è ma non è fondamentale. Ancora Montano: “Si può mangiare spendendo sia 3 euro e 50 sia 20 euro per un piatto di tartufi”. 

Poi arriva Oliviero Toscani, che sboroneggia bello pasciuto: 

– Cosa sta mangiando, maestro? 

– Vuoi che non lo sappia? Questo è il mio prosciutto, lo faccio io!

– Ah dal produttore al produttore

– Esatto, bravo!

E addenta anche un piatto di funghi e carciofi fatti rispettivamente dal fungaio Gabriele La Rocca e da Alessandro Conti, carciofaro di Campo de’ Fiori da 4 generazioni. Col maestro cerco di parlare di cibo e fotografia, gli chiedo quali possano essere le affinità. E lui liquida la cosa così: che domanda del cazzo. “Perché mangiare è una necessità, fotografare no”. E giù un’altra fetta di prosciutto. Sì maestro, ma mangiare come si mangia adesso non è più una necessità. Trangugia il friulano bianco, dice: “Questo è un altro discorso”. Che non faremo mai, perché arriva Umberto Montano e chiede di parlare col maestro prima che se ne vada.

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Il tempo di un caffè squisito, di un gelato con un unico addensante, la farina di semi di carrube, e latte italiano e bio, di specchiarsi e guardare cassate e creme di zucca di Schito come se stessi pensando all’essere e al divenire di Heidegger, e di sentire quella voce che ti dice: il senso della misura More’, porca di quella vacca. Ché la qualità, come la bontà, è elementare.

Dice così il pay off del Mercato Centrale: la bontà è elementare. La creatività e la grafica meritano un premio, ispirata all’artista Sgrò: sugli schermi del Mercato Centrale appaiono delle scritte informative sul cibo, poi molte delle parole vengono cancellate per far emergere una sola frase, semplice, basica, elementare. Quindi anche noi seguiamo lo stesso consiglio e cancelliamo tutto salvando solo questo: Al Mercato Centrale di Roma si mangia e si beve bene. Stop. 

 

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