The Fluid Issue – 1 persona, 8 Personaggi. #1 Samuel Serafin a.k.a. Leo

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Leopoldo Righi era uno di quegli avvocatini in scooter che nelle code ai semafori fanno lenti zig zag tra le auto e sfiorano i cofani con i lembi delle giacche grigie. Diceva che la sua più grande paura erano i binari dei tram: “Se ti si infila dentro la ruota cadi, ed è finita”.

Una notte di marzo, rimasto solo in studio, ha aperto la finestra. Il vento ha fatto rotolare il foglio appallottolato sulla sua scrivania. Il foglio è cascato. Leopoldo l’ha raccolto e s’è chiesto: “E io quando ho fatto l’ultima capriola?”

La sera in cui aveva mollato la sua ragazza, Eva, in presunta disintossicazione da anfetamine, lei gli aveva detto: “Se proprio non rizzi facciamo altre forme, il letto è la tela della follia”. Poi Eva aveva cominciato con le capriole sul materasso, a destra e a sinistra, “dipingiamo” gridacchiava. Lui l’aveva compatita un paio di minuti, con la testa reclinata sulla spalla. “La tua vita è una crosta” le aveva detto prendendo la porta.

Molti anni prima, al mare, in una partitella sulla sabbia aveva calciato di punta, come al solito. E aveva fatto gol. Tutti l’avevano guardato, in attesa: nella compagnia andava di moda esultare tipo Oba Oba Martins. Leopoldo era troppo lungo, dinoccolato. Non sarebbe stato un bello spettacolo. Roba da meritarsi un gavettone. Si era abbassato il costume, per fare qualcosa di memorabile. Tutti avevano riso.

Alla fine ha dovuto ammetterlo: non aveva mai fatto una capriola in vita sua. Non era mai andato con una puttana, “pagare mi umilia” diceva. Non aveva mai detto al padre che la sua grigliata della domenica gli faceva schifo. Non si era mai ricordato una singola mattina quali sogni lo facevano svegliare col pisello duro. Però, cristo santo, una capriola, ribaltare sangue e mondo e poi tornar su, come poteva non averlo mai fatto?

È andato al Sempione all’ora dei primi vecchi con i cani. Ha scelto uno spiazzo ben riparato dagli alberi. Ha controllato che non ci fossero buche da slogarcisi un polso. Si è bloccato un paio di volte in ginocchio, a gattoni. La terza c’è riuscito. Il ponticello di legno là davanti era sempre lo stesso, ma aveva guadagnato la lucentezza tenace delle cose sopravvissute. Altre cinque o sei capriole, verso una papera, un salice, un chiosco, una bici legata. A lavoro, il capo gli ha fatto notare che aveva i gomiti sporchi di erba.

Il giorno dopo è tornato al Sempione, con una giacca verde comprata in un mercatino e mai messa. Poi, in corridoio, il capo gli ha chiesto se era diventato matto: “Non è mica un casual friday” gli ha detto. Leopoldo ha ripetuto a fior di labbra quell’espressione, casual friday, fino a sera. Il giorno in cui ti è concesso di metterti il maglione invece della giacca, il verde invece del grigio. L’ora d’aria, la zona fumatori, il capodanno, la guerra. Tornando a casa, ha visto un cartello appeso alla porta di un bar con la veranda: “cercasi cameriere”. È entrato. Il proprietario, Marco, era sovrappeso, con le dita grosse di chi lavora da sempre e lo sguardo che resta fermo mentre ti parla. A Leopoldo sembrava di fissarlo dopo una capriola. “Un mese di prova, poi vediamo” gli ha detto Marco. “Se hai sete spinati una birra. Dopo la chiusura tiriamo giù la serranda e facciamo il karaoke con qualche amico”.

Leopoldo non sarebbe più tornato nello studio. È tornato nel mercatino della giacca verde. Ne ha comprate altre sei, di colori sgargianti. Si è fatto crescere i capelli, non li ricordava così lisci.

Il mese scorso, al Sempione, è rimasto sdraiato dopo una capriola, canticchiando Crocodile Rock  di Elton John, il suo cavallo di battaglia nel bar. Ha sentito qualcosa di umido toccargli l’orecchio. Era una lingua, attaccata a un piccolo cane con due baffoni lanosi. L’ha preso in braccio, ha gironzolato una mezz’ora per il parco, gridando “di chi è questo cane”, poi se l’è portato a casa. L’ha chiamato Tram.

Ogni tanto si dà il rossetto. La notte, è sempre l’ultimo ad andarsene dal bar, aiuta Marco a svuotare i posacenere, arieggiare, dare una spazzata. “Non devi farlo, resta solo se ti fa piacere”, dice Marco. “Tram è abituato a farsi l’ultimo giro quando per strada ci siamo solo io e lui” sorride Leoplodo, con gli occhi bassi, “e io a fumare l’ultima sigaretta quando siamo solo io e te”.

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