I diciotto anni del Glitter Club, il sabato sera più delirante di Milano, raccontato dai suoi fondatori
«Oh Deborah» canta Jarvis Cocker, «ti ricordi? Casa tua era davvero piccola, col truciolato sulle pareti». Una voce dal microfono sentenzia: «Il Glitter comincia adesso», le luci stroboscopiche s’interrompono, i faretti cambiano colore, cambia la musica; e su un piccolo palco al lato del dj compare Lalla Bittch: ora è Jessica Rabbit, ora Jessica Fletcher; è Lady Gaga, Patty Pravo, Emma Marrone. La seguono le Glitz Girlz: tre, quattro, cinque ragazze «interpreti di un ruolo o semplicemente corpi su cui appoggiare parrucche e lustrini». Certe volte la spuntano uno o due maschi, (i Glitz Boyz), mettono in scena incontri di wrestling femminile, cantano Senza Fine in abito da sera o ballano fedelmente Madonna. Reinterpretano video pop, che sia pop del 76 o del 2016, a metà strada tra il lip-syncing di Gloria Viagra e le performance figlie della fan-fiction in Super 8 e di MySpace, tra il cabaret e la discotheque – un po’ glam un po’ camp.

Le Glitz Girlz sono un’arte basata sull’inesattezza della rappresentazione; «un progetto serio, anche se viene percepito molto diversamente. Sono pochi quelli che le apprezzano».
Eppure per scorgere il palco bisogna sgomitare tra gli avambracci che reggono i cellulari. Due spettacoli a notte, ogni sabato notte; prima, dopo e durante: la musica di Marco Cresci/dj412: dance-pop che si scopre solo facendo Shazam. E ecco che le luci ritornano stroboscopiche e in una casa davvero piccola, con le pareti senza trucioli ma pieni di moquette, «il Glitter comincia adesso»: fatto di berretti al contrario, infiniti bicchieri, molte barbe e qualche canottiera. Nato nel 1999 in quel che era il Cafè Dalì, dopo un tour geografico e anagrafico è ora approdato in Via Torino 64, sempre a Milano, col nome di Moana by Glitter: il più possibile vicino al Duomo, come quando, vent’anni fa, «i CD si andava a comprarli a Londra e le foto venivano scattate in pellicola». Fabrizio Ferrini e Giuseppe Magistro, creatori di Hunter Magazine e fondatori del Glitter, sono tutt’oggi le menti dietro e davanti a quel palco: «Direttori artistici? Preferisco che si parli di un collettivo» risponde Fabrizio.

In questi diciotto anni si sono susseguiti altrettanti nomi, cinque location, qualche performer – ma la formula è rimasta la stessa, e anche il team dietro alle quinte.
