Giuseppe Palmisano: cerco 300 donne in collant bianchi.

Donne, colori, composizione.
Imperfezioni e sentimento, Pochi occhi e tanti corpi, pochi vestiti e tante anime, dettagli fra arredamenti anni 70. Giuseppe Palmisano, è un artista pugliese con base a Bologna.
La prima volta che vidi le sue foto me ne innamorai, pensai «lui non può essere un uomo».

Foto e parole sembravano conoscermi, arrivavano esattamente dove volevano arrivare ma mi lasciavano sempre un po’ confusa. Avevo poco più di 19 anni e lui un centinaio di like.
Fu una scoperta sapere che in quella rappresentazione c’ero anche io ma soprattutto che dietro c’era un uomo con pochi anni in più dei miei.
Nel 2012 Palmisano, grazie al paralume di un’abitazione in corso Genova a Milano, iniziò la sua ricerca fotografica che lo portò, tre anni dopo, alla prima edizione del suo libro Oltrepensare, raccolta di fotografie e aforismi. Mentre vagavo fra gli eventi di Facebook scopro Vuoto, il suo nuovo progetto. Palmisano cerca 300 donne per farne un opera d’arte. Donne di ogni età, senza tatuaggi visibili, con indosso solo collant bianchi, per un singolo scatto che sarà messo all’asta. Così che ciò che resta vuoto può ancora essere riempito. Svuotarsi può essere sinonimo di una nuova accoglienza, un nuovo dubbio, una nuova immaginazione, un’altra ricerca. L’animo si svuota della sua immagine, del suo contorno, dei suoi vestiti per restare vivo e immobile.

Il tuo nome d’arte è iosonopipo o iononsonopipo? Da dove nasce?
Io sono pipo è un nome che mi presentava all’epoca in cui facevo l’attore, nei vari salotti vip dove ero uno sconosciuto parlante. E lavora sul silenzio, sulla non affermazione, sul nascondersi. Iononsonopipo invece lavora sull’affermazione, sull’identità in collaborazione con gli altri. Il mio nome d’arte è Giuseppe Palmisano.

 

Hanno attribuito le tue foto alla corrente dell’erotismo dell’assurdo, cos’è e come la spiegheresti?
Non saprei bisogna chiederglielo a loro. Potrebbe esserci una certa estetica nata negli ultimi anni, che accomuna vari artisti in giro per il mondo, dove viene un po’ rivista la figura umana e il ruolo del corpo nello spazio e nell’interazione con gli altri, tra il surreale e il grottesco. Citerei Ren Hang, Yung Cheng Lin, Prue Stent, Synchrodogs, Adey, Marion Fayolle tra gli altri.

Come pensi alla composizione di una tua foto? Prima di scattare hai perfettamente in mente come sarà la foto finale?
In alcuni casi sì, in altri è improvvisazione con la modella.

 

Quali sono gli artisti a cui ti ispiri?
Mia madre, mio nonno. I miei compagni delle scuole medie.
Poi mi ritrovo in Bourdin, Bausch, Cage, Deleuze, Cezanne e molti altri.

Perché sei passato da attore a fotografo? Come hai approcciato alla fotografia?
Ho comprato una macchina fotografia . Poi ho smesso di fare l’attore perché mi sono innamorato.

Sei molto attivo sui social e spesso ti ritrai con artisti mainstream dell’indie rock?
Come mai?

Principalmente li ritraggo perché spesso c’è un amicizia, o come lavoro, appunto di iononsonopipo. Poi capita che qualcuno ci scatti una foto perché con molti di loro ci esco anche a bere.

Cosa pensi dei social network e di come l’arte si sia propagata attraverso questi strumenti?
Assolutamente contento, per quanto abbia dato spazio a tanta merda i social hanno creato una nuova meritocrazia democratica, fuori dai giri borghesi dell’arte, dove per emergere dovevi entrare in alcuni salotti.

Raccontaci cos’è Vuoto, da dove nasce e perché proprio 300 donne.
Vuoto è un mio bisogno tramutato in immagine o viceversa. Il racconto o il rifugio da un mio periodo vissuto all’alba dei miei 27 anni. Condiviso con quanta più gente possibile. Vuoto è una fotografa, il frutto dell’elaborazione di otto mesi e di moltissime persone.
La call per la ricerca delle 300 donne è partita dal sito www.vuo.to.it in cui si trovano anche due aste, una volta alla realizzazione di una copertina di un disco, l’altra alla vendita del pezzo unico della foto che scatterò con le, spero, 300 donne in questa ex chiesa di Pesaro. Sarà dedicata a Jannis Kounellis e a Ren Hang.

Perché hai scelto di lasciare solo i collant sui corpi delle ragazze?
Perché anche quando ci ritroviamo nudi al freddo, serve sempre un piccolo sorriso.

Reputi le tue foto erotiche?
No. Ma i feticismi e le perversioni rendono qualsiasi cosa erotica.

In che modo interpreti la figura femminile? Sia personalmente sia artisticamente.
Artisticamente bisogna guardare le foto. Personalmente non voglio interpretarla, non si può interpretare la natura. Viverla e basta.

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