Rughe si può leggere una volta sola: il finale perfetto non dà una seconda chance.
Paco Roca racconta Rughe parlando della malattia come di una prigione da cui evadere.
Paco Roca è del 1969 ma racconta perfettamente una storia di anziani, cita «Qualcuno volò sul nido del cuculo»: il volatile che depone le uova nel nido altrui, con i piccoli che scacciano via gli la prole legittima. E ci parla di due uomini alle prese con le pieghe della vecchiaia, sadico perfino: qual è il passo giusto per narrare le anime malate di Alzhaimer? Un elisir di minimalismo della cronaca di Roca e di disegni imprigionati in vignette molto classiche, come un vestito grigio in cui abita un assassino inarrestabile.

Rughe è un percorso: la malattia peggiora mentre continuiamo a leggere
Lo struggimento è interiore, il suo tono di voce è incattivito dalla consapevolezza di perderla, la propria voce, il figlio è più infastidito che pietoso: è lo sguardo del mondo? Un luogo non adatto a chi dura troppo? Un amico gli fa da traghettatore dell’animo verso il girone (infernale) del secondo piano: quello degli irreversibili. Ci arriverà? Questa graphic novel è costruito sulla progressione del morbo, costellato da piccole magie di amore come le conchiglie sulla riva del mare raccolte da un bimbo.
L’Alzhaimer è come un killer: Paco Roca racconta di un assassino
La malattia ha la spietatezza di un killer: i ricordi sono prima presi in ostaggio e poi giustiziati, uno per uno. Le rughe di Emilio sono tutte invisibili, l’Alzheimer è un treno sontuoso: mentre viaggia inesorabile, elimina i ricordi autentici e li sostituisce con altri non veri, fino a che ci si innamora perdutamente solo di vecchie visioni sfocate. Indimenticabile.