La pecora e il pastore

C’era stato bisogno delle Cinquanta sfumature per risollevare negli italiani la coscienza softcore, messa a tacere probabilmente a metà degli anni Ottanta: le pruriginose promesse di E.L. James, però, erano subito state infrante, e avevano dato i natali a un filone di libroidi più accaldati, guardacaso fatti tutti in trilogie. Il successo altrui, si sa, porta prima invidia e poi emulazione: vale per i falsi delle Gocciole come per Battle royale, senza il quale non ci sarebbero stati i tre libri di Hunger games né i tre miliardi di dollari incassati dai quattro film. Il problema dell’emulazione, però, è che al passare del tempo deve sapersi allineare alle mode: gli epigoni delle Gocciole rinunciano oggi all’olio di palma mentre i leader dei ribelli adolescenti si fanno ad alternanza maschi (Maze runner) o femmine (Divergent), sempre rigorosamente a partire da romanzi best-seller. Il nuovo clone della saga, a vent’anni dal primo libro di Suzanne Collins, è talmente best-seller che in Italia non l’aveva ancora pubblicato nessuno: il misto-Benetton di dissidenti in Darkest minds (solo a due dei cinque protagonisti è concesso di essere bianchi etero) si affida a un’afroamericana, classe 1998, che viene dritta dritta dal film di Gary Ross: pura coincidenza, anche perché di plagio non si parla più da anni, ma solo di “appropriazione culturale”. Lei, che all’epoca aveva 14 anni e oggi 18, tira su il braccio della rivolta di cui si è culturalmente appropriata ma fa vedere cinque dita anziché tre, per ora senza fischiare. C’è solo da attendere, forse, dato che la storia s’interrompe nel massimo della tensione: ed è spudorato il tentativo di cominciare un’altra saga lunga tanti film quanti il popolo ne chiederà. Peccato però che poi, come sempre, anche a cavalcare il sacrosanto trend delle attrici mute dell’Hollywood sonora, si finisca col fallire prima il test di Bechdel e poi la statistica di Hanah Anderson e Matt Daniels: parlano sempre e solo i maschi, e ruota tutto attorno a loro. La fine della pecora Dolly, insomma, non ci ha insegnato niente.

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