Non dire a mia mamma …che vado al Pinch

Lungo il naviglio a Milano, nella zona franca dei gentiluomini, si bevono cocktail preparati come opere d’arte. Dove? Al Pinch Spirits & Kitchens in Porta Ticinese, dove ogni primo lunedì al mese si tiene la serata Don’t Tell My Mum, in cui puoi salire sul palco e raccontare un aneddoto che non vorresti mai far sapere alla tua mamma.

C’è una cosa da sapere quando andate al Pinch in Ripa di Porta Ticinese 63: in quella zona i proprietari dei locali sono tutti amici tra loro, c’è una specie di movimento culturale, un’associazione non formale sotto cui si riuniscono i gentiluomini, una crew compatta e non in competizione, anzi tesa verso una collaborazione che punta a fare di quel quartiere, già frequentatissimo, un solo territorio. Si cerca di abitare una stessa anima. Tutto questo accade con raffinatezza nella preparazione dei cocktail, attenzione perfino nell’appoggiarlo sui mobili novecenteschi. Vestiti diligentemente come alchimisti del 1800 i barmen indossano una divisa elegante.

Raccontano al microfono auricolare i loro «fornelli alchemici», gli strumenti del mestiere: i contagocce per la lavanda, shaker, filtri, bombole per la soda… il livello dei drink è sempre esatto tra loro, lo shake diverso per ogni esigenza. Io non bevo, non bevo da più di cinque lustri…«Questa è una cosa da considerare» dice al telefono il committente, rocker della penna – «potrebbe essere interessante, come punto di partenza». «Sì! Poi avrò il controllo totale degli intelletti! lo rincuoro». «Già, Capisco…» I paradossi piacciono, a Urban.

Mi presento con questo piccolo vantaggio forse solo un po’ demodè alla presentazione della line up per l’autunno. In mano carta e penna, siedo di fianco a Chiara: sarà lei il fulcro delle mie indagini, è un’esperta, non sembra infastidita dalla mia tendenza a annusare solamente i bicchieri che vengono passati. Siedo indietro, sulle sedie di legno scuro, le lavagne disegnate da una ragazza «ora partita per il Messico».

I muri portano una doppia esposizione: i ritratti (di Davide Brugnolaro) di chi lavora al Pinch stanno sopra le piante da cui vengono estratte le essenze, tutto disegnato col gesso. Chi ci lavora ha mestiere, e questo sarebbe praticamente tutto se non vi fosse una lista di drink – presentati uno a uno – davvero invitante. Non solo gli ingredienti, ma anche l’effetto alcolico, l’aroma, la durata della discesa nella gola e la permanenza in bocca, il retrogusto, il sapore predominante e quello che rimane per ultimo nel palato: tutto è spiegato come in un racconto noir.

I 10 drink che abbiamo assaggiato (annusato) hanno nomi che suonano come film western: Bella Sbronza, Milanese Martini, Lo Chiamavano Trinità, Il Conte Americano, Paso Doble, The Red Carpet… In ogni lista inseriscono due novità per stagione. Tutto il menu è costituito da prodotti coltivati in territori confiscati alla mafia: olive, capperi, olio. Il primo, viene frullato col minipimer poi shakerato, dura integro 20/30 minuti, la scelta dei prodotti è essenziale per sedurre senza spaventare, spiegare e coinvolgere, senza sorprese per i sapori troppo estremi.

Nel primo preparato, ad esempio, l’aceto ha la funzione del lime mentre il kiwi rende il drink verde, fresco e profumato. L’impressione è che scenda veloce, facile, e che faccia il suo lavoro alcolico. Gli altri drink scopriteli voi stessi mentre assaggiate la cucina del Pinch: farete un regalo al vostro palato.

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