La Casa di Carta 4: finito l’hype potrà continuare?

Credo che prima di partire con la recensione de La casa di Carta 4 di cui abbiamo visto in anteprima i primi cinque episodi su otto, c’è bisogno di un breve, brevissimo riassunto.

La banda si trova dentro la Banca di Spagna, dove è entrata per rubare l’oro e salvare Rio (Miguel Herrán), catturato e torturato dalla polizia. Negoziando con l’ispettrice Alicia Sierra (Najwa Nimri), Il Professore (Álvaro Morte) e soci riescono a liberare il ragazzo, ma il piano, concepito da Berlino (Pedro Alonso), va letteralmente a puttane. 

Palermo (Rodrigo de la Serna), braccio destro di Berlino, entra in conflitto con Tokyo (Úrsula Corberó). Il Professore perde lucidità perché questa volta è accecato dall’amore per Lisbona (Itziar Ituño), che la polizia gli fa credere essere morta. Chiede quindi a Palermo di dichiarare guerra allo Stato: la banda spara due razzi contro un blindato dell’Esercito e nella lotta Nairobi (Alba Flores) viene ferita al petto. E la quarta stagione riparte da qui.

 

il cast canta Franco Battiato

La casa di Carta è un mix tra Sentieri e il negoziatore

Siamo certi che Álex Pina, creatore de La casa di carta, nello scrivere la serie (su Netflix dal 3 aprile) si sarà sicuramente consultato con gli sceneggiatori di una qualunque soap opera. Perchè diciamocelo: La casa di Carta è una telenovelas travestita da caper movie, un ibrido tra Sentieri e Il Negoziatore.

Stavolta però si va oltre: se infatti nella terza stagione, con l’entrata in scena di Netflix, si è cercato di spingere più sull’azione, con Tokyo trasformata in Lara Croft dei poveri e sparatorie a non finire, qui l’azione viene spesso messa da parte per concentrarsi sulle relazioni tra i personaggi, che sono proprio il tallone d’Achille de La casa di carta.

È paradossale come in questa serie non ci sia un personaggio che riesca a rimanere coerente con se stesso, nelle scelte e nelle azioni.

I più cinefili riconosceranno in La casa di carta 4 diversi riferimenti a film di culto: da Kill Bill di Quentin Tarantino, passando per Indiana Jones fino alla scena dell’ascensore di Matrix.

Anche qui c’è però da inalberarsi: tutto è rifatto in modo parodistico, raffazzonato, con attori che non riescono a essere credibili nei movimenti nemmeno quando sono incatenati e una regia delle scene d’azione confusa, volutamente poco precisa, in modo da distrarre lo spettatore e fargli accettare più facilmente tutte le mancanze di una serie che ha fatto del caos il proprio cuore.

Si potrebbe dire che è tutta una metafora, che la banda è il popolo che cerca di opporsi a un governo che non ha a cuore il singolo cittadino, che la confusione in cui sono piombati i protagonisti è dovuta allo smarrimento momentaneo della mente del gruppo.

Ma sarebbe un cercare sovrastrutture in un prodotto che invece sa benissimo cos’è e non ha nessuna intenzione di essere più di ciò che è, perché è proprio questa la sua arma vincente. La casa di carta è un prodotto discutibile? È così surreale e ridicola da fare il giro e diventare divertente?

Ma chi se ne frega! Non facciamoci domande, non impazziamo dietro ai milioni di difetti bensì facciamoci trascinare dal nonsense assooluto e dal melodramma. Anche perché le versioni inedite di Ti amo di Umberto Tozzi e Cerco un centro di gravità permanente di Franco Battiato sono il salto nel vuoto definitivo: Se lasciate fuori ogni speranza di logica, coerenza e buon gusto questa è la serie giusta per voi.

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