Quasi casuale, in un giorno qualunque di qualche tempo fa, durante la bella stagione, come fosse stato predestinato dagli eventi, questo è stato il nostro incontro.
È in un giorno qualsiasi dell’anno, da un invito ad una cena tra colleghi, che ci incontriamo per la prima volta.
È bastato incrociare le idee, condividere i pensieri, che è nata l’idea, forte come un’esigenza, di dare vita ad un progetto comune, il Marchiaturificio Milano, situato nel cuore perduto di Milano, a pochi passi dal Duomo.
È il nostro laboratorio del simbolo, un luogo di culto del tatuaggio, un confessionale urbano, dove tradurre le storie in simboli, in marchi sulla pelle, in tatuaggi.
Io e Nicolai, fratelli di due mondi diversi, di due culture distanti, eppure entrambi ci siamo scoperti simili nel vivere questa antica quanto misteriosa pratica del tatuare.

Una Milanese fra tante e un Siberiano come ce n’è uno su un milione.
Cosa potranno mai avere in comune? Mi sono sempre chiesta…
La vocazione per il tatuaggio, quello vero, quello che parla attraverso i simboli, quello sofferto, quello che poi non te ne pentirai mai.
Il nostro incontro è stato come scoprire un linguaggio universale, ci siamo immedesimati l’uno nell altro, come tatuatori, come chi cerca di dare un senso a quello che altrimenti sarebbe solo muto disegno, di dare una mano alle persone che si affidano a noi, per tradurre su pelle la loro storia personale.
Le persone da noi si confessano, si aprono e si affidano.
Fare il tatuatore per noi è molto di piu che riprodurre in modo tecnicamente perfetto un immagine su pelle.
Qui da noi tatuare ha poco a che fare con la sola estetica, entrambi iniziamo a tatuare nel momento in cui ascoltiamo per la prima volta la storia dei nostri clienti, iniziamo a disegnare con la mente prima che sulla carta, prima di tutto.
Per anni abbiamo operato nella stessa maniera, inconsapevoli l’uno dell’altra…finché le nostre esistenze si sono incrociate e hanno trovato la propria dimensione, come una seconda casa.
Photo credits: Diego Mayon